Come le relazioni con i consumatori cambieranno il mercato dei brand globali e locali?

Essere consumatori significa utilizzare i beni e i servizi che il mercato ci offre per costruire la nostra identità, modificarla a seconda delle esigenze e delle situazioni, e utilizzarla per intrattenere relazioni con altre persone.

I beni e i servizi a nostra disposizione sono quasi sempre di marca, ovvero possiedono una loro identità e appartengono a un determinato contesto.

La Coca Cola è americana e rappresenta la globalizzazione nel suo senso più ampio: nonostante sia nata poco più di un secolo fa ad Atlanta (Georgia) è ormai conosciuta e apprezzata dappertutto, anche nei paesi che solo di recente si sono affacciati all’economia di mercato.

Esistono anche marche locali, meno note della Coca Cola, che per certi di gruppi di consumatori assumono una grande importanza: in Italia la cedrata Tassoni è un marchio tradizionale e importante. Lo stesso dicasi per il Chinotto San Pellegrino. Questi prodotti competono con le marche globali in quanto sono in grado di vantare forti relazioni di fedeltà e familiarità con piccoli, ma significativi gruppi di consumatori. Queste marche “regalano” ai propri clienti emozioni molti intense in quanto consentono di rinnovare nel lungo periodo quei piccoli rituali che aiutano il consumatore a stabilizzare la propria identità, il proprio concetto di sé.

Le marche globali non riusciranno mai a eliminare la concorrenza dei brand locali se questi riusciranno a mantenere queste relazioni con la propria clientela, fornendo occasioni di consumo emozionanti e gratificanti, coniugando tradizione e localismo con un pizzico di fantasia e rinnovamento.

D’altra parte, le marche possono produrre anche emozioni negative se il comportamento dell’impresa (ad esempio nella realizzazione delle campagne pubblicitarie) va a urtare contro la sensibilità della clientela o di una parte di essa: un caso recente è la campagna di comarketing di Kinder Ferrero e Winx in Germania che ha ricevuto critiche serrate. In questi casi il consumatore può essere portato a interrompere la relazione con il prodotto e quindi a cambiare marca o addirittura categoria.

Infine, è da tenere presente che il predominio delle marche globali di provenienza Nord Americana ed Europea sembra destinato a ridursi progressivamente*: se per un lungo periodo il controllo del mercato è sembrato pendere verso il capitale, ovvero la disponibilità di fondi per finanziare la comunicazione di massa, nel prossimo futuro sembra spostarsi verso i territori e la demografia, ovvero saranno le marche dei paesi (e dei mercati) più popolati ad assumere un peso crescente, contando anche sul fatto di potersi relazionare con la propria clientela partendo da presupposti storici, culturali e ideologici simili.

Nel prossimo futuro la Coca Cola dovrà competere con le soft drink cinesi, indiane, brasiliane e forse il ruolo dei piccoli brand delle piccole nazioni o di aggregati culturali circoscritti avranno qualche chance in più di vedersi riconosciuto il ruolo di “marca autentica” in una competizione in cui la compatibilità culturale e ideologica della marca (e della sua comunicazione) con il target di riferimento non sarà più un accessorio della strategia globale (think global, act local), ma un pre-requisito per la sua stessa accettazione da parte del mercato.

*http://www.thelocal.de/society/20120824-44547.html

**https://www.mckinseyquarterly.com/Winning_the_30_trillion_decathlon_Going_for_gold_in_emerging_markets_3002#

Fonti
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Richins, M.L. (1997). Measuring Emotions in the Consumption Experience, Journal of Consumer Research, 24 (2): 127-146.

Fournier, S. (1998). Consumers and Their Brands: Developing Relationship Theory in Consumer Research, Journal of Consumer Research, 24 (4): 343-373.

Romani, S., Grappi, S., Dalli, D. (2012). Emotions that Drive Consumers Away from Brands: Measuring Negative Emotions Toward Brands and Their Behavioral Effects, International Journal of Research in Marketing, 29 (1): 55-67.